“Un cambio di marcia alla politica agricola regionale”
Con magazzini ancora mezzi pieni ed una previsione di 4,5 milioni di quintali di grano duro anche per la prossima campagna, le previsioni sui prezzi sembrano negative.
Se ne fa interprete il Consorzio Agrario di Ancona, principale collettore per la raccolta dei cereali, con una quota di mercato di oltre il 40% nella provincia di riferimento – la più vocata per questo tipo di produzione – ed in buona parte di quelle limitrofe. E più che un appello, arriva un grido d’allarme alla Regione Marche: cambiare verso!
“Continuare a concentrarsi solo su inconsistenti mercati di nicchia e perdere di vista l’ossatura della produzione – sostiene il direttore del Consorzio Andrea Novelli – contribuisce a mettere in ginocchio l’agricoltura marchigiana. Occorrono interventi logistico-strutturali a supporto della commercializzazione e meccanismi di premialità in grado di favorire l’aggregazione dell’offerta e la standardizzazione qualitativa.
Abbiamo il porto di Ancona che è una straordinaria risorsa, tenuto conto che del nostro grano duro dell’ultima campagna, appena il 20% è stato utilizzato da pastifici italiani mentre l’80% ha preso la via dell’esportazione, soprattutto nei mercati del nord Africa. Dobbiamo costruire una filiera organizzata e concreta che possa permettere di restituire valore al prezzo del grano, costruendo un fronte unico che garantista una forza contrattuale nei confronti degli operatori, in particolare quelli stranieri (canadesi in primis), che vengono a caricare con le loro navi il nostro grano per rivenderlo poi nei Paesi emergenti”.
Lo scorso anno il prezzo del grano duro ha subito un calo di oltre il 30% sulla campagna precedente ed in questi primi mesi dell’anno mesi si registra un ulteriore calo del 20%.
L’agricoltore oggi spunta un prezzo medio inferiore ai 180 euro/tonnellata, nettamente al di sotto del costo di produzione. Ovviamente nessuno vende, sperando in tempi migliori; innescando il forte rischio che i magazzini, dove sono rimaste molte scorte, non siano più sufficienti per l’ammasso della prossima campagna.
“Serve un riscatto collettivo – aggiunge il presidente del Consorzio Agrario Provinciale di Ancona, Alessandro Alessandrini – perché la coltivazione del grano duro, che è la principale coltura delle Marche, non regge più e sta mandando in forte difficoltà migliaia di aziende agricole e serve un orientamento diverso da parte della Regione per un impiego più efficace dei finanziamenti del Piano di Sviluppo Rurale, a concreto sostegno delle strutture commerciali di stoccaggio.
Un operatore che acquisti per l’industria molitoria nazionale o che intenda imbarcare una nave da 300 mila quintali, dovrebbe avere un unico interlocutore con cui trattare per avere, sempre, disponibilità di merce, e certezza dei parametri qualitativi richiesti. Ciò oggi non avviene con regolarità con conseguenza negative per tutti a partire proprio dagli agricoltori. Le istituzioni devono ormai aprire gli occhi sul mondo agricolo reale e mettere da parte, o in secondo piano, il sostegno a colture fantasiose e prive di consistenza economica.
Serve un orientamento pragmatico basato sulla concretezza delle azioni, che permetta di recuperare il distacco commerciale, logistico e di mentalità che ci separa non solo dal Nord America, ma anche dagli altri paesi dell’UE, Francia in testa”.
È inutile ed autolesivo continuare a ripetere il mantra delle “eccellenze dappertutto” per non voler affrontare la realtà che riscontra al contrario un arretramento delle caratteristiche qualitative delle nostre produzioni.
La spirale perversa che si è innescata in questi ultimi anni è molto semplice: i prezzi sono in caduta libera, si riducono al minimo gli interventi sulle coltivazioni, la produzione peggiorano in qualità ed il prodotto vale ancora meno!
Trent’anni fa il grano duro marchigiano aveva comunemente e naturalmente caratteristiche qualitative comparabili, se non superiori, con le migliori produzioni Canadesi, cosa oggi molto difficile da raggiungere.
Sono ormai improrogabili interventi strutturali nelle politiche agricole locali, basta disperdere soldi per la ricerca sulla Quinoa, o piantare cartamo, o riscoprire tipicità locali improbabili, confondendo l’attività economica agricola con la gastronomia rurale.
Gli interventi per sostenere le filiere devono essere semplici, circoscritti ed efficaci ed in questa situazione di emergenza devo essere rivolti al recupero delle corrette tecniche agronomiche, al giusto impiego dei mezzi di produzione, alla selezione e separazione per caratteristiche qualitative ed alla concentrazione del prodotto.
Quindi premialità diretta per parametri qualitativi, all’utilizzo di sementi certificate, sostegno alle forme di conferimento del cereale, sostegno alla ristrutturazione ed ampliamento dei centri di selezione e primo stoccaggio ed un progetto globale per una moderna rete logistica che permetta di concentrare il prodotto ed offrire lotti consistenti all’industria nazionale e all’esportazione. In fondo è quello che i Francesi hanno fatto 25 anni fa.