Coltivare con il metodo biologico, a nostro modesto avviso, non è solamente una tecnica di coltivazioni particolare, ma anche un metodo che deve essere supportato da convincimenti culturali, per non dire filosofici. Ciò senza voler dare un giudizio di merito che sia positivo o negativo.
Dico questo, in quanto, molti agricoltori che si avvicinano a questo tipo di coltivazione la praticano non avendo ben chiaro le problematiche tecniche a cui vanno incontro né le problematiche commerciali, né, tanto meno, le problematiche di natura burocratica che sono, fino, ad oggi un irto scoglio da superare. Ma iniziamo con ordine. L’agricoltura bio dovrebbe prescindere dal contributo aggiuntivo che la Comunità Economica Europea mette a disposizione degli agricoltori proprio per il fatto che tale tipo di tecnica colturale, non potendo essere supportata dalla chimica, necessita di maggiori lavorazioni e manodopera che hanno un costo. Molto spesso, il metodo di coltivazione biologico non riesce a produrre per determinate colture, una quantità di prodotto pari a quello da coltivazioni di tipo tradizionale, ed in alcuni casi anche con qualità inferiore.
Dall’altra parte coltivare con il metodo bio, se la qualità di quanto ottenuto è sufficientemente idonea, può spuntare dei prezzi superiori rispetto ai prodotti di tipo convenzionale in quanto quelli biologici non contengono residui chimici. Da un punto di vista teorico sarebbe tutto perfetto: seguendo una tecnica culturale idonea si otterrebbe il doppio obbiettivo di avere delle derrate alimentari senza residui chimici con un aumento ad ettaro del contributo comunitario che dovrebbe compensare la minor quantità di derrate prodotte.
Purtroppo le cose non stanno proprio in questo modo. La coltivazione con il metodo biologico ha bisogno di un maggiore impegno in quanto il controllo delle infestanti- infezioni sia vegetali (malerbe, fungine, ecc.) che da insetti, artropodi, o batteri è più complicato non potendo utilizzare la chimica di sintesi (diserbanti e/o insetticidi, fungicidi) in molti casi devono essere fatte o a mano o con maggiori lavorazioni meccaniche (falsa semina, strigliatura, ecc), Ed a volte, nonostante l’impegno profuso, i risultati possono essere particolarmente deludenti, soprattutto quando la stagione climatica sia decisamente avversa tanto da danneggiare anche le coltivazioni convenzionali. Ma questo, un po’, fa parte del gioco; ciò che veramente è fuori dalla portata dell’agricoltore sono gli inciampi di natura burocratica al quale può andare incontro.
Credo che sia noto a tutti che chi voglia coltivare con il metodo biologico e ne voglia ricavare i frutti commerciali ed i contributi comunitari, deve farsi ”certificare” da un Ente Certificatore terzo che garantisca che il metodo di coltivazione sia corretto e corrispondente alle norme.
Per fare questo è necessario annotare regolarmente e con una precisione certosina tutte le operazioni colturali e non, che vengono effettuate in una determinata coltivazione. Tale registro può essere controllato in ogni momento sia dall’Ente Certificatore che dagli Organi di Controllo statali e regionali. E fino a qui tutto regolare, dipende dall’agricoltore: maggior precisione maggior tranquillità.
Ma dove veramente si può entrare in un vespaio in maniera incolpevole è quando si aderisce al PSR per accedere ai contributi comunitari (attualmente Misura 11.1 e 11.2). Quello che sta succedendo con la nuova programmazione avrebbe dell’incredibile se non fossimo già abituati alle “stranezze” di Agea. Sono due anni dalla programmazione 2016 che si hanno dei seri problemi di liquidazione. Sembra a causa di Agea che, solo recentemente, abbia messo a disposizione della Regione un software di istruttoria pienamente funzionante. Tanto è vero che le prime istruttorie automatizzate sono infatti attive da Febbraio 2018 mentre quelle “manuali” dei funzionari istruttori regionali sono attive dalla fine luglio 2018, ben due anni dopo la presentazione della domanda!
Quindi, l’unico danno sarebbe un ritardo nel ricevimento dei contributi? Sembrerebbe di sì… nella migliore delle ipotesi, qualora nella la domanda di aiuto del 2016 non sia stata riscontrata alcuna anomalia, un premio, come anticipo, è stato erogato nel mese di febbraio 2017 e nel mese di Febbraio 2018 il contributo a saldo. Al contrario, questa “lungaggine” ha fatto emergere anomalie inaspettate che, se conosciute prima, avrebbero permesso alle aziende degli aggiustamenti e/o rinunce ad impegni con conseguenti nuovi impegni presi con maggiore consapevolezza. Pertanto si fa strada il forte rischio che alcune posizioni risultino con correggibili in istruttoria con conseguente decadenza dai benefici a partire dal 2016 (1°anno) e restituzione degli eventuali acconti già percepiti! Ma, ancora peggio, è che già 3 (tre) campagne agrarie sono passate per le quali l’azienda ha sostenuto costi maggiori per la certificazione Bio senza poter percepire i contributi.
Le criticità maggiori per quanto riguarda le anomalie rilevate da Agea sono le seguenti:
– mancata corrispondenza tra particelle indicate in notifica Bio e quelle dichiarate in domanda
PAC (cosa insospettabile visto il pagamento dei contributi comunitari PAC);
– mancato rispetto della durata dell’impegno quinquennale (risoluzione contratti o vendite) e semplicemente non corretta gestione delle comunicazioni in caso di trasferimento dell’impegno a soggetti terzi (modalità e tempi);
– errata gestione delle UTE (Unità Tecnico Economiche) che devono rispettare delle regole precise (quanto arzigogolate) previste dal bando (tutta la superficie della UTE deve essere assoggettata al regime biologico salvo alcune eccezioni. sic!);
– corretta gestione dei registri obbligatori (che vengono controllati da Agea in fase di verifica).
Si potrebbe obbiettare che erano cose già note ma è altrettanto vero che non è pensabile che i controlli vengano fatti dopo anni, dove spesso molte anomalie rilevate sono errate o fonti di contestazioni. Ne consegue che l’impegno di coltivazione Biologica deve essere monitorato nel tempo con molta attenzione dall’azienda e non può essere delegato totalmente a terzi o peggio improvvisato. Coloro che vi si avvicinano pensando di coltivare biologico “coltivando il contributo”
sbagliano e di grosso e, repetita juvant, la burocrazia è veramente l’ostacolo più grande da superare.
Alessandro Alessandrini