Malgrado una fase moto complessa per il settore primario, cresce il fatturato del Consorzio Agrario di Ancona che raggiunge i 64,7 milioni (era di 64,5 milioni nell’esercizio precedente) e consolida il proprio ruolo di principale punto di riferimento dell’agricoltura marchigiana. Merito di una gestione improntata ad offrire servizi sempre più puntuali ai circa 8.000 clienti che hanno trovano nelle oltre 40 sedi del Consorzio distribuite su tre province (Ancona, Macerata e Pesaro) prodotti di alta qualità e qualificata assistenza tecnica. Scelta maturata nel tempo che non solo gratifica i circa 400 soci, ma che consente al Consorzio Agrario di Ancona di essere l’unico a mantenere la propria autonomia in ambito regionale.
La commercializzazione del grano duro – principale coltura della regione – resta tra le voci più significative del bilancio e l’aumento dei prezzi riscontrato a partire dalla seconda metà del 2019 a causa della riduzione delle scorte mondiali, ha permesso al Consorzio di ottenere buone performance con la cessione di oltre 54 mila tonnellate ed un ricavo di 13,3 milioni. Bene anche la vendita di girasole, di cui le Marche sono principale produttore nazionale: oltre 11 mila tonnellate immesse sul mercato per una raccolta di 4,2 milioni di euro grazie a prezzi di chiusura interessanti.
Ad incidere positivamente sul bilancio anche la vendita di macchine agricole che vedono il Consorzio Agrario di Ancona leader con una quota di mercato di circa il 40%, con il marchio New Holland in esclusiva a fare da traino. Ma in generale sono tutti positivi anche gli altri segmenti di mercato del Consorzio: fertilizzanti e agrofarmaci (qui la quota di mercato arriva al 70%), sementi e mangimi, ortofloricoltura e impiantistica, fino alla vendita di carburanti.
Nell’approvare il bilancio il presidente ed il direttore del Consorzio, rispettivamente Alessandro Alessandrini ed Andrea Novelli, non hanno però potuto fare a meno di rimarcare l’assenza di una politica agricola regionale che sappia affrontare i veri nodi del settore, a partire dal grano duro che occupa oltre la metà degli ettari destinati a seminativi nelle Marche, confermandosi fonte di reddito vitale per gran parte delle aziende agricole. “Dispiace dover ancora una volta mettere in evidenza – hanno sottolineato – la quasi assoluta inadeguatezza della politica agricola della Regione, ormai calata su procedure farraginose, improntate su Piani di sviluppo rurale ridondanti di articoli e di difficile interpretazione e applicazione, e che invece di affrontare la reale situazione economica delle aziende del territorio continua ad di inseguire riconversioni fantasiose e prive di prospettive, o a sostenere marchi di certificazione insignificanti sul mercato, come l’ormai inutile Q.M., che, nonostante le risorse che finora ha assorbito e la mancanza di risultati ottenuti in termini di percezione dei consumatori, non risulta nemmeno utile a giustificare i ruoli delle risorse umane ad esso dedicati”