Scomodare Dante per ricordare gli ignavi – prime anime che incontra varcata la porta dell’Inferno – potrebbe apparire eccessivo. Ma l’ignavia con cui l’Assessorato all’Agricoltura della Regione ha gestito il serio problema sollevato dal settore agricolo marchigiano sul tema del girasole, ben meriterebbe l’attacco di mosconi e vespe, vale a dire la punizione che il sommo poeta infligge a questa categoria di persone – gli ignavi appunto – a cui è attribuita la colpa di non avere mai il coraggio di prendere una posizione.
Perché – anche volendo mettere in secondo piano la pure importantissima rilevanza economica del girasole – continuare a non assumere provvedimenti che possano sostenere questa coltura che fa delle Marche il principale territorio d’Italia colorato di quel suggestivo arancione, caratterizzandone l’identità paesaggistica estiva, sarà pure una colpa non teologicamente riconosciuta, ma pur sempre grave.
Se ne renderanno conto marchigiani e turisti che si troveranno a transitare nelle nostre campagne tra qualche settimana, quando non troveranno più le distese di girasoli del passato, avendo ignavia e burocrazia ridimensionato le semine, almeno di quasi il 20%.
Il motivo? Semplice, quanto assurdo. Aver ostinatamente evitato di prendere una decisione alle continue richieste del  mondo agricolo di poter utilizzare prodotti in grado di tutelare questa coltura, come geodisinfestanti e antilumaca. Prodotti, beninteso, che non pongono rischi né sanitari né ambientali, con mosconi e vespe – esattamente quelli della punizione dantesca – che ben potrebbero contribuire a favorire l’allegagione proprio in questa fase di piena fioritura.
Se ne fa interprete Andrea Pettinari, presidente di Confagricoltura Macerata, imprenditore e tecnico agricolo, che stima in meno di 35 mila gli ettari che quest’anno sono stati seminati a girasole nelle Marche, rispetto agli oltre 40 mila degli anni passati.
Andrea Pettinari
Presidente Pettinari, così drastico il calo quest’anno?
“Per forza! Con i limiti imposti, chi lavora nelle colture intensive sceglie altre produzioni. A cavallo tra le province di Ancona e Macerata è stata preferita la barbabietola, più a sud, nel Fermano e nell’Ascolano il favino o il cece. Colture che arricchiscono molto meno il paesaggio e, per quanto ci riguarda, danno minore valore anche alle filiere locali. Senza contare che il girasole è una delle poche colture da rinnovo che andrebbe incentivata”.
Ma potevano essere superati queste limitazioni?
“Certamente, con un po’ di buona volontà e come peraltro ci era stato ventilato in un incontro di qualche mese fa. Ed invece hanno preferito non prendere alcuna decisione. Come al solito! Così le imprese agricole hanno fatto altre scelte. Perché non poter usare alcuni prodotti per garantire la migliore e più produttiva coltivazione del girasole, significa dover rinunciare a quasi un centinaio di euro ad ettaro previsti dall’Ecoschema 4 della Pac. E tenuto conto che qui parliamo di grandi aziende con almeno 150 ettari a girasole, si perdono non meno di 15 mila euro, che per un’azienda agricola sono vitali”.
Ma, in sostanza, ci spieghi esattamente quali sono i termini della questione!
“Sono semplici. Vi è un disciplinare nazionale che regola le difese fitosanitarie delle varie colture, girasole compreso. Le stabilisce un Comitato tecnico nazionale che, ovviamente, per il girasole non ha una grande competenza specifica perché si coltiva principalmente nelle Marche, e poi qualcosa in Umbria e Toscana. Dunque, questo Comitato dispone un disciplinare molto generico, lasciando alle Regioni coinvolte, che dovrebbero conoscere meglio il tema specifico, di apportare deroghe come quelle che noi abbiamo chiesto. Cosa che non è stata fatta neanche quest’anno, tra ignavia e burocrazia. E così, oltre al problema dei piccioni che fanno incetta delle piantine di girasole appena nate dopo la semina, ci troviamo oggi con lumache ed elateridi che danneggiano gravemente il raccolto e ridimensionano fortemente le aspettative delle imprese agricole”.
Una via di uscita?
“C’è, e sta alla politica regionale intraprenderla, perché è la politica a decidere e non può continuare a delegare le scelte ai tecnici. Ormai per questa campagna il danno è fatto. Ci auguriamo che dalla prossima, e già a partire a settembre con la semina del colza, altra coltura penalizzata da questo continuo non decidere, si possa ottenere la deroga richiesta a gran voce dal mondo agricolo. Noi continueremo a far sentire la nostra voce, auspicando una interpretazione più elastica delle norme”.
Con la speranza che dagli uffici regionali, per una inspiegabile legge del contrappasso, non risuoni verso le imprese agricole quella reprimenda “non ti curar di loro, ma guarda e passa” con la quale Dante, per il tramite di Virgilio, aveva espresso il proprio disprezzo proprio contro gli ignavi.