L’11 novembre è il giorno in cui per tradizione prende il via la nuova annata agraria. Abbiamo scelto questa giornata, pertanto, per un’intervista con il direttore generale di Confagricoltura Marche, Alessandro Alessandrini, per capire lo stato di salute dell’agricoltura marchigiana, che futuro lo attende e quali le tematiche più stringenti da affrontare.

Alessandro Alessandrini

Dottor Alessandrini, parte la nuova annata agraria carica di aspettative, ma anche di incognite. Innanzitutto, come si presenta l’agricoltura a questa nuova ripartenza? Che bilancio si può trarre dell’annata appena conclusa?
“È un bilancio che presenta tante criticità. I costi di produzione aumentano, i prezzi di vendita dei prodotti agricoli non vanno di pari passo, anzi si registrano consistenti cali in alcuni casi, i contributi pubblici si riducono, addirittura problematiche informatiche impediscono a buona parte degli agricoltori che coltivano soprattutto  in biologico di percepire gli anticipi della Pac. La burocrazia impazza, le macchine agricole sono arrivate a prezzi proibitivi, in aumento i danni provocati da animali selvatici alle coltivazioni o al patrimonio zootecnico, per non parlare della funzione di vettore del cinghiale sulla diffusione della PSA (Peste Suina Africana). Senza contare gli effetti dei cambiamenti climatici che hanno avuto pesanti riflessi sulle produzioni, in particolare per la siccità, tema questo che ne ripropone un altro a ruota, vale a dire quello dei ritardi nella realizzazione di nuovi bacini per recuperare acque fondamentali per l’agricoltura e l’alimentazione. Insomma, non è proprio un bel momento ed è opportuno aprire una serena riflessione a livello regionale su come poter provare ad invertire la rotta”.

Il grano duro è una delle principali colture regionali, qual è il bilancio per quest’anno?
“Sotto il profilo della produzione è stata un’annata ottima, come non se ne registrava da tempo. E lo è stato sia per le quantità che per la qualità. Di fronte ai forti cali produttivi registrati al sud per l’eccessiva siccità e al nord per la frequenza delle piogge, la nostra regione è stata davvero fortunata, vi sono state in diversi casi rese intorno ai 70 quintali ad ettaro, almeno un 30% di produzione in più rispetto alla campagna precedente. Il problema, però, è che il prezzo è costruito su parametri internazionali e dunque conta poco la qualità del nostro grano, perché poi è remunerato sulla base dei valori espressi dalle borse merci nazionali e straniere che sono molto influenzate anche da speculazione senza precedenti. Ed i prezzi di quest’anno sono addirittura inferiori allo scorso anno, tanto da erodere drasticamente i margini per le imprese agricole”.

Qual è stato l’andamento che ha interessato il girasole?
“Per il girasole, viceversa, è stata un’annata da dimenticare. Siccità ed ondate di calore hanno determinato un calo produttivo rilevante, neanche in grado di coprire i costi di produzione di gran parte delle imprese agricole che si sono avvalse di questa coltivazione da rinnovo per i propri terreni.
Nelle province di Ancona e Macerata, le più vocate per questa coltura, le rese non hanno quasi mai superato i 20 quintali ad ettaro, a fronte di medie che superavano i 26/27 quintali. Un problema di non poco conto per il settore agricolo regionale che nel girasole ha sempre trovato una coltura in grado di alternarsi al grano duro. Tra l’altro, sulla base della vendita del seme certificato dal Consorzio Agrario di Ancona che opera su tre province – principale distributore regionale, oltre ad essere il punto di riferimento per la raccolta – e tenendo conto dei contratti di filiera sottoscritti da Confagricoltura – l’associazione le cui aziende gestiscono oltre due terzi del girasole nelle Marche – i terreni coltivati quest’anno a girasole sono stati di circa il 10% in più, attestandosi intorno ai 45 mila ettari. Non solo, il girasole ha anche una valenza paesaggistica notevole per la nostra regione che è la prima produttrice italiana con oltre il 40% di quota. Tra l’altro, facendo delle semine scalari si potrebbe rende una regione fiorita da maggio a metà agosto replicando così una specie delle fioriture dei tulipani in Olanda. Sarebbe, quindi, importante avvalersi di questa risorsa per promuovere il nostro territorio investendo risorse ad hoc”.

Alla luce di queste considerazioni, dunque, quali possono essere le previsioni per il prossimo anno?
“Se è difficile fare previsioni sull’andamento produttivo, tenendo conto della rilevanza fondamentale che ha il meteo, di certo ci auguriamo che la politica adotti scelte che sostengano il settore primario, tanto in Europa quanto nella nostra regione. E lo faccia rifiutando di rincorrere ancora un ideologizzato ambientalismo esasperato che non ha fondamento scientifico, ma piuttosto sostenendo l’innovazione, semplificando la burocrazia in tutte quelle procedure amministrative a cui le aziende agricole devono sottostare. Purtroppo i segnali che arrivano non vanno nella direzione giusta, ci auguriamo in una presa di coscienza seria: aumentare il numero dei registri o il numero dei divieti non rende i prodotti agricoli più sani e più buoni. Le regole ci sono e siamo il Paese che al mondo fa più controlli specifici sul settore agricolo ed agroalimentare: essere più realisti del re, manda le aziende fuori mercato ed aumenta la nostra dipendenza dall’estero. Riflettiamoci!”