Perseverare nell’errore, si sa, è un comportamento già di per sé biasimabile, ma lo diventa ancora di più se, a cadere vittima di un tale atteggiamento, sia uno dei settori più fragili e strategici della nostra regione: quello agricolo.
Per ritenere la misura colma, infatti, sarebbe bastata già solo l’attesissima riforma degli A.t.c. (Ambiti Territoriali di Caccia) in cui la rappresentanza al mondo agricolo è stata affidata in base alle “tessere” delle organizzazioni e non in virtù della reale estensione territoriale delle aziende associate (come se a caccia si andasse negli appartamenti e non sui terreni degli agricoltori). A questa scelta si è aggiunta, poi, l’idea di investire oltre un milione di euro per rilanciare la filiera della carne di cinghiale, acquistando mattatoi mobili dove lavorarne le carni. Una scelta legittima, ma sicuramente in controtendenza rispetto all’esigenza di eradicazione: anziché ridurne il numero questo fatto ne incentiverà lo sfruttamento a livello economico e commerciale a totale discapito dei soliti agricoltori divenuti allevatori involontari ma senza profitto.
A coronamento di una deriva, ormai sempre più preoccupante, si aggiunge ora anche il Regolamento Regionale per la gestione dei danni causati dalla fauna selvatica. Un atto nei confronti del quale le proteste sono state fin da subito particolarmente aspre con tanto di manifestazione a Fano, balzata subito agli onori delle cronache per il simbolico “dissanguamento” di un manifestante.
Diverse le questioni contestate come la scelta di impedire la presentazione autonoma della domanda di risarcimento, che dovrà passare ora tramite il Siar o le difficoltà in merito alla corretta definizione di “recinti a regola d’arte”, resi obbligatori solo per alcune colture. Aspetti, tra l’altro, già segnalati in fase di stesura del regolamento ma non recepiti dall’assessorato.

“È un regolamento costantemente sbilanciato verso gli interessi di una categoria ben specifica e non a favore di noi agricoltori – commenta a tal proposito Patrizia Balducci titolare dell’azienda agricola Gocce di Camarzano a Fabriano – le misure di dissuasione vengono poste quasi interamente a carico di chi coltiva così come le procedure per ottenere il risarcimento dei danni sono sempre più complesse. Il problema, però, non dovrebbe essere come risarcire i danni ma evitare che questi si verifichino. Di sicuro assistere alla riproposizione della c.d filiera del cinghiale, fortemente voluta dalla Regione, non ci fa ben sperare”.

Molti i passi critici riscontrati anche sul piano tecnico: “Si tratta di un regolamento che aumenterà il contenzioso in maniera significativa penalizzando sia le imprese che l’ente pubblico” sottolinea a tal proposito Floriano Schiavoni agronomo di Senigallia e docente di estimo. “La mancanza di criteri di valutazione del danno omogenei e chiari determineranno cause continue dove ad uscirne vittoriosi saranno solo i legali delle parti in causa. – prosegue Schiavoni – Anche sui termini per la segnalazione del danno (entro 60 giorni) la norma è pessima. A due mesi dalla raccolta il giudizio di stima non potrà che essere empirico e la possibilità di errare è molto elevata. Se la produzione sarà poi superiore l’agricoltore, giustamente, contesterà. Se sarà inferiore, invece, a farne le spese saranno le risorse pubbliche.”

Eccezioni puntuali che vengono condivise anche da Antonio Trionfi Honorati, allevatore jesino e presidente di Confagricoltura Ancona: “Quello dei danni causati dalla fauna selvatica è un problema evidente a tutti ed ormai non più rinviabile. Certi atteggiamenti troppo attendisti non hanno fatto che determinare la situazione attuale, con tutte le conseguenze del caso. Oggi, dopo che non si è riusciti ad arginare il fenomeno alla base, si prova a correre ai ripari con un regolamento mal scritto le cui criticità erano già state sottoposte a chi di competenza ma senza riscontro.”Criticità ulteriori che si abbattono su un settore primario che troppo spesso ha difficoltà nel far sentire la propria voce. “Già solo la scelta di far passare le domande di risarcimento tramite il Siar è pura follia. Anziché ridurre la burocrazia la si aumenta – continua Trionfi Honorati – obbligando chi ha subito il danno a rivolgersi ad un tecnico già solo per presentare la domanda, aumentando anche i costi.”