Quanto sopra scritto è certamente una frase di speranza, ma per noi agricoltori marchigiani non può essere interpretata proprio così soprattutto alla luce dello stato di avanzamento della spesa del PSR (Piano di Sviluppo Rurale) della Regione Marche.
Ovviamente ne siamo dispiaciuti ed anche arrabbiati in quanto, purtroppo lo avevamo previsto! Del resto era prevedibile alla luce di quanto era successo nella passata programmazione. In presenza di un PSR di 302 pagine con circa 54 misure, conclusosi, per non perdere i fondi comunitari, con i cosiddetti Bandi Light (facendo subito comprendere che quelli precedenti erano troppo complessi.); questa volta siamo riusciti a fare il miracolo, proprio in virtù dell’esperienza passata: viene concepito un PSR di circa 700 pagine con oltre 154 tra Azioni, misure e sottomisure!
Umanamente chi sarebbe stato in grado di poter gestire in maniera rapida ed efficacie un tale numero di bandi con conseguenti domande?
Molte osservazioni, sia preventivamente che successivamente alla stesura conclusiva del PSR, sono state avanzate sia nel merito che nel metodo. Ovviamente al di là degli obiettivi prefissati dalla Regione sui quali molto spesso siamo in disaccordo (ancora al “Palazzo” non è ben chiaro che il fulcro dell’agricoltura marchigiana sia il grano duro e non le coltivazioni di piccoli frutti!) ma che rimangono nelle disponibilità delle scelte politiche; dove proprio rimaniamo sconcertati è sul metodo. Sul metodo di approccio a qualsiasi problematica; sull’impostazione eccessivamente “burocratizzata” nella stesura dei bandi; sull’eccessivo numero di vincoli dove si riesce ad essere più restrittivi di qualsiasi norma già esistente. Troppo spesso i bandi sono esclusivamente dei codici normativi da seguire dei quali ci sfugge la ratio. Possiamo supporre che siano ispirati dalla logica del “pararsi” ma, assomigliando a dei labirinti pericolosi, si trasformano in trappole nei quali si incastrano gli agricoltori che, solo in quel caso, capiscono che cosa significhi la “legge di Murphy” sulla burocrazia: “se qualcosa può andare male, lo farà in triplice copia”. Siamo consapevoli che chi svolge una funzione pubblica abbia timore di apporre la propria firma su qualsiasi documento, trasformandosi in un implacabile censore, ma questo non giustifica l’eccessiva burocratizzazione, in quanto comunque non è possibile prevedere tutto ingessando tutto. Si scrivono i PSR cercando di contenere tutta l’agricoltura marchigiana, si scrivono i bandi pensando di prevedere tutte le possibile soluzioni dimenticando che chi li deve leggere ed interpretare non riesce a decriptarli, soprattutto sulle famose priorità o declinazioni che seguono sempre la costante di Skinner: ”quella quantità che, moltiplicata per, divisa per, sommata a, o sottratta alla risposta cui si è arrivati, dà la risposta cui si sarebbe dovuti arrivare”.
A semplice testimonianza di quanti suggerimenti ci eravamo permessi di fare, ad esempio, basta rileggersi quanto scritto nell’articolo di apertura del numero di luglio 2014 di Marche Agricole “Non sparate sul pianista” nel quale si riportava come fu approvato il PSR dal Consiglio Regionale; oppure nella prima pagina del numero di novembre 2014, “Agrinsieme delle Marche vola a Bruxelles” per illustrare alla Commissione UE quanto andava modificato sul PSR inoltrato. Giova ricordare che la Commissione fece 687 osservazioni, almeno una per pagina. Di questo lo scrivemmo sul numero di gennaio 2015 di Marche Agricole in “…tanto tuonò che piovve”. Credo che sia doveroso ricordarne alcuni stralci “la dispersione della dotazione finanziaria senza una definizione delle priorità in termini di fabbisogni selezionati e senza un orientamento specifico comporta il rischio di generare un basso impatto e di conseguire gli obbiettivi…” oppure “si ricorda alla Regione Marche che “deve essere evitata l’inutile moltiplicazione delle operazioni quando possono essere riunite…” ed ancora va ribadito che è necessario “favorire” piuttosto che “porre limiti” ma furono parole al vento. Ma anche qui, siamo riusciti a trovare la spiegazione con la quarta legge di Finagle: “Una volta che si è pasticciato qualcosa, qualsiasi intervento teso a migliorare la situazione non farà altro che peggiorarla”. Ma nonostante tutto, anche successivamente, nel numero di marzo 2015 vengono rese manifeste “Le proposte di Agrinsieme” già divulgate nel convegno del 21 febbraio 2015 ad Ancona, come in tante ed innumerevoli riunioni, ma fu tutto inutile.
Ci aspettiamo, di nuovo, dei bandi light (per evitare concreti rischi di disimpegno finanziario) con l’unico scopo di non far ritornare i fondi indietro favorendo, ora, solo l’acquisto di macchinari agricoli, mentre al contrario sarebbe molto più utile aumentare le dotazioni dei bandi già chiusi riaprendo le graduatorie, finanziando tutti quei progetti approvati ma non finanziabili per carenza di dotazioni di risorse. Chi si ricorderà di progetti bocciati per inezie burocratiche o interpretazioni “autentiche” di bandi scritti a capocchia? Chi si ricorderà di progetti approvati ma non finanziabili in quanto arrivati a metà classifica solamente perché l’azienda aveva troppi (?!) ettari (magari solo 10 in più) a disposizione? O di Piani approvati ma non finanziabili in quanto con un primo bando arrivati a metà della graduatoria, poi riammessi con un bando successivo, ma sempre relegati …a metà graduatoria in quanto gli investimenti già effettuati (tipo 7 ettari di oliveto – chi fa l’imprenditore non dorme!) pur riconosciuti non venivano considerati prioritari in quanto già effettuati..? (avete letto bene!). Potrei seguitare, ma a che scopo? Purtroppo gli agricoltori marchigiani iniziano a pensare al Piano di Sviluppo Rurale non come ad un diritto ma ad una specie di lotteria alla quale si può vincere (cfr contributo sul Biologico) ma sempre con maggiori difficoltà. Pertanto possono contare solo sulle proprie forze sperando che non solo i mercati migliorino ma che, quanto prima, venga applicato per tutte le merci che importiamo il principio di reciprocità soprattutto per le norme sanitarie; ed almeno in ambito comunitario ci sia una unificazione delle norme fiscali, previdenziali e giuridiche. Solamente in questo modo riusciremo a confrontarci, veramente, alla pari con i mercati internazionali altrimenti il made in italy sarà sì importante ma da solo non potrà essere sufficiente. E non illudiamoci che con i piccoli frutti o la vendita a Km zero potremo risolvere gran parte dei problemi dell’agricoltura e, che sia chiaro, nelle Marche la prima e la più importante coltivazione è il grano duro con i cereali!
Alessandro Alessandrini