Il clima fa le bizze, la primavera (tra un po’ l’estate) stenta ad arrivare e – nonostante tutte le varie teorie – nessuno è in grado di fare delle previsioni attendibili che siano ad una distanza temporale di oltre 3/5 giorni. Tutti noi abbiamo letto quanto scritto sulla stampa o visto quanto trasmesso dalla televisione/ social, sulle cause di tali bizzarrie climatiche: riscaldamento del pianeta, ere glaciali, teorie “gretine”, ecc. ecc.
Tutto questo condito da ipotesi più o meno catastrofiche su quello che succederà entro il 2050 dopo aver snocciolato una serie di parametri matematici, da manuale, per supportare tali previsioni; in sintesi una serie di numeri casuali, che ci fanno pensare al famoso matematico ungherese Von Neumann che era solito ricordare che “chiunque consideri i metodi aritmetici per produrre cifre casuali è, naturalmente, nella condizione di peccatore”. Anche nei nostri territori alcuni, spinti, come da un fuoco sacro (ed anche un po’ sadico) si “scapicollano” a snocciolare una serie di “profezie” sui danni subiti e subendi dagli agricoltori: una specie di “Terremoto e Tragedia” del film “Attila flagello di Dio” con Diego Abbatantuono. In alcuni casi c’è chi le stime dei danni le effettua, non solo in contemporanea alla grandinata, ma anche sulle coltivazioni ancora da seminare come se avesse una linea diretta con il Padreterno. Come notizia giornalisticamente fruibile, nulla da dire, ma l’impatto sull’opinione pubblica o sulla politica è diverso, non sempre tale eccessiva esagerazione porta benefici, anzi, al contrario per una serie di motivazioni che tenteremo di illustrare. Se per giorni comunico che, ad esempio, le grandinate hanno distrutto ortaggi o frutta, non mi posso, successivamente lamentare se il commercio opziona prodotti provenienti di altri territori nazionali od esteri, per timore di rimanerne sprovvisto, mentre in realtà le produzioni attese rimarranno costanti rispetto a quelle degli anni precedenti, con l’unico risultato di far abbassare i prezzi per eccessiva quantità disponibile.
Se per giorni comunico che i danni subiti sono ingenti e diffusi invocando le Amministrazioni pubbliche che dichiarino lo stato di calamità naturale, non mi posso successivamente lamentare se, le stesse, per “captatio benevolentiae” e venire incontro alle esigenze degli agricoltori inseriscono nello stato di calamità naturale quanto più territorio possibile vanificando un giusto ristoro per chi ne avrebbe avuto oggettivamente bisogno. Mi spiego meglio, nella provincia di Ancona, nel mese di maggio, i danni alle coltivazioni sono stati provocati da eventi temporaleschi improvvisi e concentrati con le grandinate (residui di grandine di circa 40 cm) e le cosiddette “bombe d’acqua” (precipitazioni copiose ed improvvise che creano dilavamento del suolo che nessun fosso predisposto a regola d’arte potrebbe mai contenere). In quelle zone, effettivamente i danni hanno raggiunto picchi elevatissimi con distruzione delle coltivazioni tra l’80 ed il 100%. Questo non significa che nelle zone limitrofe, ben più ampie, non ci siano state danni, ma certamente di inferiore entità, sicuramente da non raggiungere il 30% della produzione lorda vendibile per poter invocare le provvidenze messe a disposizione della legge. Se tali territori, ben più ampi, li sommiamo agli altri veramente colpiti saremo riusciti a fare solamente un’operazione di facciata ma senza nessun riscontro utile e tangibile. Oltretutto, i danni della grandine / acqua si vedono dopo alcuni giorni tanto che, per fare alcuni esempi, potremo avere campi completamente dilavati senza più coltivazione emergente, come al contrario, nella coltivazione del grano duro i danni sono, il più delle volte, molto limitati o come nella vite che, negli stadi vegetativi primaverili, può riassorbire naturalmente anche un danno di circa il 25%.
In sintesi bisognerebbe evitare di suonare la grancassa sui media, nel solco di “al lupo… al lupo” mentre sarebbe certamente più utile (cosa che stiamo cercando di fare ma ci si scontra con la politica) operare affinché lo stato di calamità naturale sia dichiarato su territori molto limitati e circoscritti in modo che quei agricoltori veramente colpiti possano ottenere un qualche ristoro. Altrimenti se le zone sono troppo ampie, come sopra riportato, il danno rilevato, facilmente potrebbe andare sotto il 30% della P.L.V. (Produzione Lorda Vendibile) così oltre al danno, ci rimarrebbe, solamente, la beffa imprecando il troppo utilizzato detto: “piove, Governo ladro”.
Alessandro Alessandrini