“La Coppa della Vallesina con il pecorino PAT”, questo il titolo della tavola rotonda organizzata a Cupramontana per celebrare l’iscrizione tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali – PAT appunto – della regione Marche. Un riconoscimento importante, come ha ricordato introducendo i lavori il sindaco Enrico Giampieri, per un salume tipico ricco di storia e tradizione che, dopo il secondo posto conquistato lo scorso anno nella “coppa delle coppe delle Marche” organizzata da AIS, diventa ora un prodotto portavoce dell’identità dei Comuni della Vallesina, in particolare Cupramontana, Monte Roberto e Castelbellino, dove veniva usato il pecorino come “condimento” dell’insaccato.
Tra storia e varianti interregionali
Parlare di norcineria in una regione come le Marche conduce alla scoperta di tradizioni lontane e fortemente localizzate, legate spesso ad usanze familiari, tipiche di una zona di riferimento. Per questo, guardando alla coppa, se ne trovano innumerevoli varianti. Ne ha parlato Piergiorgio Angelini, degustatore ufficiale Ais, tecnico assaggiatore Onas e scrittore enogastronomo: “Si tratta di un salume antichissimo – ha detto – che producevano già i romani. Fondamentale nei secoli, il contributo delle donne che erano coloro che conoscevano erbe e condimenti, e per questo si può dire che la coppa è un prodotto femminile. Dal riferimento più antico alla coppa marchigiana contenuto nelle carte della Famiglia Bonaccorsi di Macerata, l’excursus storico giunge al 1928, quando un tale Domenico M. di Agugliano scrive che nella coppa di testa ci va il pecorino romano in 150 grammi per 4 kg di carne”. A questa variante, la letteratura e le testimonianze locali ne accostano altre come “la ricca coppa di Ascoli Piceno con frutta secca, pistacchi e cannella, la coppa con le mandorle di Ancona, quella con le olive a Fermo e la coppa di Macerata con il finocchio selvatico”.
Tante coppe dunque che, nell’insieme, creano una realtà unica preziosa di una delle poche regioni in Italia dove il consumo di coppa non è diminuito: “È così identitaria – ha concluso Angelini – perché è l’unica regione dove i consumi sono in aumento. Nel resto d’Italia la coppa si fa ovunque, ma è in calo e poco reperibile: nelle Marche la si trova sempre, nei piccoli salumifici come nei supermercati”.
Pochi allevamenti e mattatoi: coppa tipica ma che rischia di scomparire?
Se da un lato, il riconoscimento ottenuto testimonia la volontà di tutelare e valorizzare i prodotti dell’enogastronomia regionale da parte di enti ed istituzioni, dall’altro sono evidenti alcune difficoltà proprie del settore, dal ricambio generazionale alla presenza dei luoghi fondamentali per la creazione dei salumi.
“Dobbiamo prendere consapevolezza che non bastiamo per il prodotto che trasformiamo – ha affermato in proposito il Rodolfo Santilocchi dell’Università Politecnica delle Marche. – Parliamo di prodotti trasformati, ma una parte consistente non viene dal territorio marchigiano. Perché? I motivi sono diversi. In primis, non abbiamo allevamenti a sufficienza. Fare l’allevatore è complicato, soprattutto per un giovane che decide di aprire un allevamento, trovandosi di fronte una serie di situazioni burocratiche impegnative. A questo si aggiunge l’opinione pubblica locale che spesso si mostra diffidente e contraria nei confronti del nuovo”.
Un altro problema che rende difficile la commercializzazione dei prodotti sono, infine, i mattatoi. Sempre meno, soprattutto al centro delle Marche, e spesso privi della Certificazione UE che permette il confezionamento idoneo alla commercializzazione. “È un po’ come fare il vino senza uva”, ha concluso. “Ci vuole un coinvolgimento diretto tra istituzioni e opinione pubblica altrimenti le tipicità rischieranno di scomparire”.